Decreto Sanita’ : Intervista al Dott. Roberto Carlo Rossi

 

 

“Sono piuttosto critico verso questo provvedimento. Non ne vedo l’urgenza, innanzitutto, considerata la situazione che il Paese sta attraversando: non è il momento di spendere soldi e comunque non credo che questi eventuali investimenti andrebbero a migliorare il servizio per la salute dei cittadini”. Questo il parere di Roberto Carlo Rossi, Presidente lombardo del Sindacato Nazionale Autonomo Medici Italiani (SNAMI), nonché Presidente dell’Ordine dei Medici di Milano, che in un’intervista ad Affaritaliani.it commenta punto per punto il decreto Sanità – mercoledì in Cdm del ministro Balduzzi. Un decreto che sta facendo molto discutere. Le Regioni hanno chiesto alcune modifiche, sollevando  le proteste dei medici di famiglia, che minacciano lo sciopero.

Dottor Rossi, iniziamo dall’idea di introdurre studi aperti 24 ore su 24. Che cosa ne pensa?
“Credo che i cittadini dovrebbero essere meglio informati e poi avere la possibilità di esprimere un loro parere. Perché a livello mediatico sta passando il grosso equivoco che ci sarà ‘il medico disponibile 24 ore su 24’. In realtà non sarà così: ci saranno sì dei maxi-ambulatori sempre aperti, ma per coprire i turni si dovrà prevedere una rotazione del personale. Quindi verrà meno il tradizionale rapporto tra il paziente e il medico di famiglia, punto cardine per gli italiani. Noi siamo abituati a una diffusione di medici di base più capillare di quella dei comandi dei carabinieri. In ogni paese ce ne sono 3-4, che aprono l’ambulatorio a loro spese. Se ora i professionisti saranno riuniti in maxi-strutture, si rischia di perdere questa capillarità. Non so se gli italiani saranno d’accordo. Anche perché la medicina generale si occupa di patologie che in fondo non richiedono questa assistenza continuativa. Per le emergenza del weekend o serali c’è già una rete di medici pronta a intervenire, per ‘l’ordinaria amministrazione’ si prende appuntamento con il proprio medico mentre per patologie gravi si fa ricorso agli specialisti. Infine, non vedo la disponibilità economica per attuare una rivoluzione simile: per allestire questi maxi-ambulatori, ci vorranno strutture e personale. Lo Stato ha la disponibilità per questi fondi?”

Le Regioni chiedono che le Asl possano organizzare i servizi h24 utilizzando anche i dipendenti del servizio sanitario, ovvero medici ospedalieri spostabili in ambulatorio.
“La medicina generale viene troppo spesso sottovalutata, quasi non servissero competenze specifiche per esercitarla. Invece, è essa stessa una specialità. Un chirurgo non può sostituire un medico di base”.

E sulla possibilità, al contrario, di trasformare i medici di base in dipendenti anziché liberi professionisti?
“Torniamo alla questione della fiducia paziente-medico. Un libero professionista è più motivato a creare un rapporto empatico con le persone, mentre, in questo caso, si potrebbe rischiare che il dipendente si adagi sulla filosofia del ‘timbrare il cartellino’, con una minore qualità del servizio”.

Le Regioni chiedono anche di abolire il numero ottimale dei pazienti per ogni professionista (attualmente mille). E’ d’accordo?
“Molte Regioni hanno già previsto una soglia superiore ai 1.500 soggetti. In Lombardia siamo a 1.750. Posso dire che per il singolo professionista rappresentano già un carico di lavoro notevole. E’ una soglia che non si può innalzare troppo”.

 

E l’idea di mettere dei limiti di budget ai medici?

Sono assolutamente contrario sia come sindacalista che come ordinista. La salute non va budgetizzata. Ovviamente bisogna monitorare gli sprechi e sorvegliare. Ma un medico non può essere costretto a scegliere le terapie più o meno costose perché non può sforare una determinata soglia economica”.

 

Si apre alle visite private negli ospedali, dando alle Asl il compito si organizzare spazi per consentire questa attività o affittare locali esterni.
“I medici sarebbero felici di un’attività intramoenia, senza dover correre qua e là. Ma bisogna farla bene, con strutture idonee e personale adeguato. E posso dire che la stragrande maggioranza delle strutture non è pronta. Torniamo al problema iniziale: c’è la disponibilità pubblica per fare investimenti?”.

Fa molto discutere la tassa anti-obesità sulle bibite gassate.

“Condivido l’intento, ma non mi aspetto che una tassa possa avere effetti. Le bibite gassate sono un disastro per l’obesità infantile, ma il costo di una lattina che passa da 3 a 3,05 euro, per fare un esempio, non scoraggerà i ragazzini dal comprarla. Non sono per le punizioni, ma per l’educazione e il convincimento culturale”.

Lei boccia molti aspetti del decreto del governo. Quali iniziative , al contrario, suggerisce?
“Punterei sulla prevenzione, sulla ricerca e sulla collaborazione con i medici di base proprio per questi aspetti. Per esempio, un medico di famiglia può fornire una serie di dati e informazioni sulla diffusione delle malattie che il Ministero centrale può analizzare e rielaborare per migliorare le cure e i servizi. Fondamentale, poi, la loro presenza nelle comunità per la sensibilizzazione e la prevenzione: basti pensare a quanto è importante il ruolo del medico scolastico, che può educare le nuove generazioni a tematiche come il fumo, le malattie sessualmente trasmissibili, i corretti stili di vita”.

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